Salvini e l’uso criminale della retorica

Oggi vogliamo occuparci della comunicazione di un importante uomo politico italiano, Matteo Salvini. Chiedendoci: il suo séguito di followers è direttamente o inversamente proporzionale alle sue capacità dialettiche e retoriche?

Occorre anzitutto chiedersi: quali strumenti dialettici e retorici adotta? Consapevolmente o inconsapevolmente?

Possono essere subito individuate alcune figure retoriche particolarmente utilizzate dal politico, disfemismo ed epìteto, e diverse fallacie argomentative.

Per capire il disfemismo occorre necessariamente partire dall’eufemismo: dal greco ‘parlar bene’, è una forma di dissimulazione a cui si ricorre per sostituire un’espressione diretta (ma ritenuta indecente o pericolosa o offensiva) con un’espressione indiretta, inoffensiva e neutrale. Ad esempio: “ha subìto un rovescio finanziario”, per non parlare di ‘fallimento’; “ha un male incurabile”, invece di ‘tumore’; “è passato a miglior vita”, meglio che ‘morto’. La perifrasi eufemistica ha origini radicate nelle inibizioni, nella decenza, nella buona creanza e nel rispetto dell’altrui sensibilità.

Salvini tende a sostituire un’espressione diretta, che lui ritiene indecente o pericolosa o offensiva, con un’altra espressione indiretta, inoffensiva e neutrale? No, per niente. E infatti utilizza il disfemismo. È il contrario dell’eufemismo e si verifica quando si usa un termine dispregiativo per comunicare in modo ironico o anche affettuoso un significato senza particolari connotazioni espressive, per così dire “di grado zero” (ad esempio, l’espressione “i miei vecchi” per indicare i genitori). A meno che non serva per realizzare le basi di una vera e propria aggressione verbale, anche a mezzo del sarcasmo. Che è, quest’ultimo, una forma di ironia amara e pungente, ispirata da animosità e quindi intesa a offendere e umiliare. Alcuni linguisti lo considerano un “insulto educato”; tuttavia, a mio avviso, non è sempre facile distinguere tra un insulto educato e uno che non lo è…

Vi è poi l’uso dell’epìteto. Nella retorica antica era l’aggettivo qualificativo con funzione puramente ornamentale e dunque non necessaria (ad esempio “Achille piè veloce”). Nel caso di Salvini sono frequenti gli epiteti creati per far ricordare meglio (ai propri followers ed elettori) fatti ed avversari (dalla “zecca tedesca” Carola Rackete alle più semplici “zecche comuniste”, passando per il consueto ed onnicomprensivo “nemici” elargito con prodigalità, al recentissimo “criminale” destinato a Conte).

E fin qui siamo nella retorica bianca, ossia quella che – se tecnicamente ben costruita e utilizzata in modo eticamente corretto – può anche portare degli indubbi vantaggi nella costruzione di un discorso persuasivo. Purtroppo il nostro politico fa uso anche della retorica nera, prevalentemente identificabile con le fallacie argomentative – ossia un ragionamento solo apparentemente logico ma, a ben guardare, ‘fallato’. Insomma: l’applicazione in campo verbale del concetto di “illusione ottica”. E come fa? Cosa usa?

Prevalentemente la fallacia del manichino o fantoccio (o anche uomo di paglia), che permette di elaborare una rappresentazione infedele dell’avversario, costruita allo scopo di abbatterla. Il fantoccio è una rielaborazione eccessiva e caricaturale della tesi da contrastare, allo scopo di facilitare la sua confutazione. La realizzazione del ‘fantoccio’ avviene estremizzando in modo plausibile la tesi dell’avversario e poi demolendola.

La fallacia del manichino non affronta l’argomento in questione: la sua funzione è quella di suscitare, in virtù della facilità con cui può essere demolito, un sentimento di derisione o disapprovazione che può venir indirizzato alla figura reale di cui è rappresentazione.

Ma Salvini fa uso altrettanto frequente anche della fallacia del falso dilemma (o falsa dicotomia): si asserisce l’esistenza di sole due opzioni tra cui scegliere quella vera, mentre in realtà esistono ulteriori alternative (avete presenti le espressioni “O sta con me o contro di me”, “O scendete in piazza a protestare o siete al servizio della casta e dei poteri forti”? Ecco, tipo queste).

E poi ci sarebbero ancora la fallacia della generalizzazione affrettata, l’appello al sentimento popolare, l’appello all’ignoranza, l’appello alle conseguenze, l’argomento contro l’uomo…

Insomma: leggere un dizionario di retorica per vederlo applicato da Salvini.

Oh, sia chiaro: Salvini non è l’unico politico a far uso di tutto questo armamentario, in modo scoordinato, scorretto, e per lo più inconsapevole. Ma è forse il più bravo ad usarlo così (ripeto: in modo scoordinato, scorretto, e per lo più inconsapevole).

Se utilizzare la retorica nel modo sopra descritto significa ucciderla, allora l’uso che ne fa Salvini, consapevole o inconsapevole che sia, è criminale.

Foto in copertina by Getty Images

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