Quando il fine uccide il mezzo

Confessiamolo subito: non c’è niente di peggio che sentirsi dare del ‘retorico’ dopo aver detto o scritto qualcosa.

Il vocabolario della lingua italiana (Devoto-Oli) definisce la retorica come “disciplina provvista di regole e accorgimenti diretti a suscitare particolari effetti nel lettore o nell’ascoltatore”. Tuttavia, esso indica come ‘retorico’ ciò che è “caratterizzato da un eccesso di artificiosità o da una vistosa ricerca dell’effetto”. Esiste, quindi, un altro senso del concetto di retorica: non la nobile arte del discorso persuasivo, ma un modo di parlare altisonante, che gli anglosassoni definirebbero ‘bombastic’. Questa seconda accezione è oggi indubbiamente la più diffusa, al punto da schiacciare la prima, della quale neanche rimane un ricordo. Perché?

Forse perché nel corso dei secoli (soprattutto a partire dal XVI) si è assistito ad un’esasperazione dell’attenzione riposta al mero elemento stilistico o di abbellimento del discorso, fino a deviare l’attenzione dalla scienza retorica nel suo complesso e a far identificare la retorica stessa con l’aspetto puramente esteriore e fine a sé stesso.

Non solo: della retorica si è fatto un uso spesso distorto, avendo di mira non un’argomentazione razionale persuasiva (come insegna la retorica classica), ma la persuasione per seduzione.

E così delle sue grazie hanno approfittato dittatori e venditori di fumo, demagoghi e truffatori. Cancellati (prima o poi) questi, la retorica è rimasta sola, sedotta e abbandonata, con la macchia e col peccato di aver servito cause discutibili se non immorali.

Per inesorabile contrappasso, eccola oggi relegata al servile ruolo di mero ‘aggettivo’ che qualifica la ridondanza e il superfluo, se non proprio il disonesto.

Fine ingiusta e ingloriosa per una signora che ha migliaia di anni e della quale molti hanno approfittato ma che quasi tutti non conoscono realmente.

Conoscere e saper utilizzare la retorica consente invece di saper organizzare il proprio pensiero in un discorso fondato e persuasivo. Una comunicazione consapevole e adeguata rappresenta del resto un plusvalore dell’individuo e del suo contesto relazionale: è un asset indispensabile.

Questo volume intende, allora, partire da una cronica ed anche inspiegabile assenza nella formazione in Italia (ma non solo): lo studio della retorica e della comunicazione in generale. Una sottovalutazione incredibile (se solo si pensa alle origini greco-romane della retorica e alle sue funzioni ancora attualissime) che ha contribuito non poco alla svalutazione della sua immagine, schiacciata e confusa dall’utilizzo sempre più disinvolto (e spesso inconsapevole) di ‘persuasori occulti’ quali le fallacie argomentative.

Ciascuno di noi dovrebbe invece saper valorizzare e utilizzare il pensiero retorico secondo l’insegnamento della retorica classica. Per essere ‘persuasivi’, in modalità tecnicamente ed eticamente corrette: perché l’obiettivo deve essere un’argomentazione razionale persuasiva, e non la persuasione per seduzione. Riabilitando il ‘mezzo’ selezionando i ‘fini’.

Oggi vanno molto di moda i manualetti di suggerimenti (tips) e trucchi (tricks), che spiegano come si fa la presentazione di un prodotto, un discorso d’occasione per un compleanno, un brindisi. Il TED talk, cioè la vivace relazione divulgativa in venti minuti, fa furore. Tutto questo va molto bene per gli Italiani, che sono spesso confusi e retorici in senso negativo. È vero, abbiamo bisogno di riordinare un po’ il discorso, e quindi le idee. Ben venga il pragmatismo americano. Però il public speaking di cui si parla nei manualetti americani non è altro che una versione rudimentale dell’arte del discorso, che i nostri avi – da Roma antica alla Napoli barocca – praticavano con gran profitto.

Insomma, siamo “noi” che l’abbiamo insegnato a “loro”. Non sarebbe, quindi, il caso di tornare alle fonti? Riscoprire le tecniche retoriche degli autori classici può fare riemergere l’oratore che è già in noi, nella nostra cultura, a tutti i livelli. Si capirebbe che forse “Italians do it better” (gli Italiani lo fanno meglio).

(dall’Introduzione a Gianluca Sposito, Quanto siamo retorici. Libera l’oratore che è in te, Intra, 2020)

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