Ironia da bambini

I bambini possono comprendere o addirittura utilizzare l’ironia?

L’ironia (si veda il nostro post su questa figura retorica) è la dissimulazione del proprio pensiero con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento: “Che bravo!”, esclamato di fronte ad un risultato disastroso; o “Bella macchina!”, di fronte ad un cartoccio.

Costruire un messaggio ironico presuppone, tra l’altro, la consapevolezza (da parte del suo autore) del pubblico a cui è destinato, che dovrà essere in grado di accettare e comprendere la scelta del mezzo ed il messaggio portato.

Ed è davvero interessante affrontare il tema dell’ironia dal punto di vista della psicologia evolutiva, cercando di capire se un bambino sappia riconoscerla o addirittura farne uso.

Come dimostrato da alcuni studi, i bambini comprendono prima le metafore e solo più tardi, non prima dei sei anni, l’ironia.

Già oltre trent’anni fa alcuni studi partivano dall’osservazione che i bambini tendono ad interpretare espressioni intenzionalmente false come vere. Quando confrontati con l’evidenza della discrepanza fra ciò che è stato detto e il fatto che lo rende falso, tendono a scartare il fatto oppure ad assumere che chi parla non sia a conoscenza del fatto, per cui l’espressione è sincera ma sbagliata. Questo fa ipotizzare che il processo di maturazione dei bambini li porti:

• anzitutto ad assumere che le credenze di chi parla e i suoi scopi comunicativi siano in linea con ciò che dice;

• poi a comprendere che le credenze di chi parla possano essere in contrasto con ciò che dice, ma ritenere che chi parla e ascoltatore credano ciò che dice come vero;

• infine, a riconoscere che chi parla può non credere a ciò che dice e volere che anche l’ascoltatore non lo creda.

Questo trend di maturazione è stato dimostrato da un esperimento effettuato da alcuni studiosi nel lontano 1984 su 32 bambini di rispettivamente 6, 9, e 13 anni ed un gruppo di 13 adulti. Ai soggetti erano presentate delle storie audio-registrate (nelle quali erano indicati anche gesti e comportamenti non verbali) che rappresentavano situazioni che potevano concludersi in modo sincero, con inganno, o ironia. I risultati mostrarono che a 6 anni i bambini sono in grado di capire senza problemi gli atti comunicativi sinceri, la comprensione dell’inganno migliorava fra i 6 e i 13 anni, ed infine quella dell’ironia iniziava dai 13 anni alla fase adulta (in verità, anche per gli adulti l’ironia era compresa solo nel 50% dei casi…).

Si può dire che la principale difficoltà incontrata dai bambini era distinguere il falso destinato a indurre in errore (inganno) da quello destinato ad essere riconosciuto come falso (ironia). In altre parole, l’abilità di esprimere giudizi su ciò che il parlante vuole che l’ascoltatore creda. Del resto, la stessa etimologia del termine “ironia” rimanda all’ipocrisia e alla falsità. Da una parte, sia la comprensione dell’ironia sia l’individuazione della menzogna richiedono dunque l’abilità di valutare l’informazione comunicata come falsa e l’abilità di riconoscere una affermazione come intenzionalmente falsa. D’altra parte, l’ironia è diversa dalla menzogna perché l’affermazione intenzionalmente falsa è utilizzata per comunicare qualcosa che il parlante considera vera.

La comprensione dell’ironia richiede dunque un complesso intreccio di sviluppo cerebrale, capacità cognitive ed esperienze socio-cognitive. Lo sviluppo delle aree cerebrali coinvolte in questo processo maturano in tempi lunghi e diversi da persona a persona e questo spiega, in parte, le differenze che si possono notare tra i bambini. In parte però sono coinvolti nell’apprendimento anche fattori sociali: il contesto indubbiamente aiuta e, infatti, i figli di genitori che usano spesso l’ironia sembrano comprenderla prima e apprezzarla di più.

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