Perché la comunicazione di De Luca piace a Naomi (e non solo)

Nei mesi della pandemia ha surclassato Conte e Salvini. Gli altri governatori, Zaia, Fontana e omologhi? Tutti ad inseguire. Perché il primo posto nella classifica dei migliori comunicatori del (drammatico) periodo è di Vincenzo De Luca, governatore della Campania.

È talmente piaciuto, anche all’estero, da finire in un post di Naomi Campbell: a marzo su Instagram ha postato la sua performance impegnato a far rispettare le norme nell’emergenza coronavirus. Concluso con l’invito rivolto all’America ad ascoltare (e ad imparare): “Listen America Listen!”

 

E così, grazie a Naomi in America è arrivata la clip (sottotitolata in inglese) della festa di laurea e della soluzione-provocazione del governatore: mandare i Carabinieri col lanciafiamme.

Duro, diretto, con quel ghigno beffardo tanto sospetto da far pensare, alle volte, che sia lui ad imitare Crozza.

Tralasciando giudizi politici, che ovviamente non riguardano Retorica-mente, ci si può però chiedere cosa piace di De Luca. Perché ‘buca’, si direbbe in gergo tecnico, lo schermo?

La comunicazione di De Luca è diretta, essenziale e condita al massimo con qualche esempio o metafora comunque comprensibile ai più. Si sostiene che è solenne – nel tono, nell’impostazione, nell’atteggiamento -, e dunque tipica di un governatore-satrapo? Il ruolo (consapevole) è quello del Comandante ma con un’interpretazione totalmente agli antipodi da quella del Capitano-Salvini, troppo preso dalla continua trasformazione di cose semplici in slogan e dalla loro moltiplicazione e divulgazione social: una macchina per il pane (bene essenziale, soprattutto per i politici) ma in continua attività.

De Luca il pane lo fa, ma solo in alcuni giorni e in quantità più modesta; soprattutto lo fa con molta attenzione al sale, che sa dosare e distribuire, senza che il suo prodotto (comunicativo) porti a sazietà o, peggio, allo ‘stucchevole’ (vedi Conte e Salvini; subito dopo c’è Renzi).

De Luca vince perché impone la leadership del condottiero, e dunque usa durezza e determinazione ma mitigate dalla semplicità e dall’ironia. E spesso si tratta di auto-ironia (i ‘cinghialoni’ della sua età che pretendono di fare i runner). E così si passa con naturalezza dal “ma che siamo scemi?” al “lanciafiamme”, al “parliamoci chiaro”, cui si affianca la concretezza delle decisioni (al di là della loro valutazione politico-amministrativa).

Il mix diventa eccellente. Forse grazie all’esperienza politica, o all’essere un ex professore di filosofia, o all’essere partenopeo, o forse grazie a tutto questo ben mescolato. Fatto sta che piace. 

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