Non se la beve? Allora è un apota!

Si tratta di un termine coniato nel 1922 dal giornalista italiano Giuseppe Prezzolini: dal greco apotos ‘che non beve, non bevibile’, composto da a- privativa e dalla radice del verbo pìno bere (che si rinviene, ad esempio, in ‘potabile’ così come in pozione, propinare, simposio ecc.). L’apòta è colui che non se la beve.

Il termine fu coniato il mese prima che Mussolini guidasse la marcia su Roma. Prezzolini costituiva idealmente la “Società degli apoti”: davanti ai tumultuosi accadimenti di quel periodo e alle nuove realtà che si stavano imponendo, la scelta che proponeva era di non lasciarsela dare a bere e sottrarvisi, al fine di ricercare la perduta limpidezza di pensiero. 

L’apota è quindi una figura simile allo scettico: non prestano fede a tutto, non credono ingenuamente a ciò che viene detto loro. Ma l’apota mostra un’inclinazione all’allontanamento rispetto allo scettico.

E l’accento? Dove va? Si dice pota o apòta? Apòta è la «pronuncia alla Prezzolini» (e di chi, come Montanelli, aveva udito la parola in prima persona dalla viva voce dell’autore). Ma la pronuncia corretta è quella che rispetta l’origine greca e, dunque, àpota (da άποτος, non bevibile).

A voi la scelta: bervela, o diventare scettici e àpoti.

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