Dal greco ‘parlar bene’, è una forma di dissimulazione a cui si ricorre per sostituire un’espressione diretta (ma ritenuta indecente o pericolosa o offensiva) con un’espressione indiretta, inoffensiva e neutrale. Ad esempio:
“ha subìto un rovescio finanziario”
per non parlare di ‘fallimento’;
“ha un male incurabile”
invece di ‘tumore’;
“è passato a miglior vita”
meglio che ‘morto’.
La perifrasi eufemistica ha origini radicate nelle inibizioni, nella decenza, nella buona creanza e nel rispetto dell’altrui sensibilità. Ulteriore elemento che, non solo storicamente, fa scattare la censura verbale imponendo il ricorso ad espressioni alternative è poi la paura (legata a concezioni sacrali del potere della parola: ad esempio, la paura – in alcune epoche e culture – di evocare influssi maligni nominando l’essere temuto, il ‘diavolo’).
Nella scrittura/trascrizione talvolta l’eufemismo (ovvero, la censura verbale) può manifestarsi in vera e propria omissione del termine da evitare, espressa graficamente con l’uso dei puntini di sospensione (tre, sempre e solamente tre), analogamente a quanto avviene (sempre graficamente) con la diversa figura retorica della reticenza.