Come per il cancro, anche per il coronavirus si continua ad utilizzare un linguaggio bellico, dove il virus è il mostro, il nemico da battere, sconfiggere, distruggere. Perché è lui ad aggredire ma siamo noi a doverlo uccidere e vincere.
Sennonché viene da chiedersi: ma chi muore ha perso? Chi non guarisce è un debole? E così, ancora, chi è debole merita di non continuare a vivere?
Da un punto di vista linguistico e retorico (ma, permettetemi: anche morale), occorre riportare il virus al suo grado zero, non sovraccaricandolo di metafore belliche che possono addirittura umiliare i pazienti e i soggetti più deboli, trasferendo loro una responsabilità che non hanno. E indurre tutti gli altri a pensare che, alla fine, i deboli possono anche perdere.