Questa mattina, nella consueta lettura dei quotidiani, siamo stati letteralmente rapiti da una parola:
POGARE.
L’abbiamo trovata nella descrizione del concerto-evento di Travis Scott al Circo Massimo a Roma, l’altroieri. Abbiamo scoperto che il pubblico “ha pogato” tutto il tempo. Appena letta, abbiamo avuto un primo sussulto: e cosa significa? Poi un secondo: perché non lo sappiamo? E poi un terzo, quando l’abbiamo scoperto: «saltare a suon di musica», come sul Pogo stick, giocattolo formato da un’asta che incorpora una molla] (io pógo, ecc.; aus. avere). – Nel linguaggio giovanile, ballare tra spinte e salti (dal Vocabolario Treccani). Aggiungiamo dopo accurate verifiche: ballo collettivo nato alla fine degli anni ’70 che consisteva sulle prime nel saltare sul posto e poi nel darsi spallate, facendo così conoscenza e nel contempo andando contro il sistema. Tipico degli ambienti punk e metal.
E così, dopo aver studiato e capito, per la gioia, abbiamo pogato anche noi. Poi però ci siamo contenuti, quando – spulciando le info – ci siamo imbattuti in un articolo (su rivista online specializzata) dal titolo:
“Alcune regole auree per pogare senza mietere vittime”.
😱
“Sì, pogare
Evitando le buche più dure
Senza per questo cadere nelle tue paure
Gentilmente senza fumo con amore
Dolcemente pogare”
(“Sì, pogare”)