Lockdown vs. Clausura

La domanda che, da due giorni, si pongono Corrado Augias e Stefano Bartezzaghi su La Repubblica è questa: è necessario utilizzare il termine ‘lockdown’ o si può invece ricorrere ad una parola italiana?

Come abbiamo dovuto imparare (e anche rapidamente), il lockdown è una procedura di sicurezza che prevede l’isolamento temporaneo di un edificio, di un’area più o meno estesa, di un’intera città, impedendone uscita e ingresso; è usato in modo estensivo anche in riferimento a provvedimenti quali il confinamento nelle abitazioni di residenza della popolazione di un intero paese ed il conseguente blocco della maggior parte delle attività e dei trasporti, volti a contenere l’emergenza da Covid.

Il termine angloamericano ‘lockdown’ indica originariamente il confinamento di prigionieri nelle loro celle per un periodo prolungato di tempo, solitamente come misura di sicurezza a seguito di disordini; e poi anche il confinamento in una clinica psichiatrica o in altra unità di sicurezza.

La prima comparsa, in Italia, del termine sulla stampa si ha all’inizio del secolo, ma solo in modo sporadico e come citazione dell’uso angloamericano. Dopo in 2013, anno della prima occorrenza in italiano, l’uso di lockdown si intensifica gradualmente: nei primi anni viene usato in rapporto a episodi verificatisi negli Stati Uniti (sparatorie, attentati e simili situazioni di emergenza); successivamente, con il moltiplicarsi di attentati terroristici in Europa, la parola passa ad indicare le procedure di sicurezza attuate per fronteggiarli.

Dal gennaio 2020 è impiegata specificamente per indicare le misure di contenimento messe in atto prima nella provincia cinese di Hubei, poi in Italia, in Europa e negli altri paesi colpiti dalla pandemia. Nonostante dall’inizio del 2020 si riscontri un notevolissimo incremento dell’impiego sui mezzi di informazione il termine è usato soprattutto nei titoli e compare quasi sempre associato ad almeno un termine italiano consolidato nell’uso comune (chiusura o blindatura o blocco di emergenza/totale, isolamento o confinamento).

In piena pandemia, la diffusione di questo termine è stata veloce e impossibile da frenare. Tuttavia, il sostantivo che meglio rende in italiano il senso del termine ”lockdown” è ”confinamento” (così come indicato anche dalla Accademia della Crusca, intervenuta sull’argomento). Del resto, gli spagnoli e i francesi vi hanno già fatto ricorso, nel rispetto delle proprie radici nelle lingue romanze. Noi, invece, continuiamo a dire “lockdown”. Forse per sentirci più prigionieri, in una sorta di neo-interpretazione della sindrome di Stoccolma.

Ora due autori, Augias e Bartezzaghi, si rispondono a colpi di editoriali da due giorni su La Repubblica (19 e 20 ottobre 2020): il primo sostenendo che ‘clausura’ sarebbe la soluzione, il secondo ritenendo alla fine corretto il presunto anglismo. E ricordando anche come, alla fine, anche nel calcio si usavano solo parole inglese (corner, referee ecc.), poi sostituite da quelle italiane non le nostre squadre hanno cominciato a battere quelle inglesi. C’è ancora questa speranza?

https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/10/19/news/meglio_lockdown_di_clausura-271156950/

https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/10/18/news/non_chiamatelo_lockdown_-271034831/

Back to Top