Oratore o attore? La comunicazione non verbale in Cicerone e Quintiliano

Cos’è l’actio?

È ancora di assoluta attualità la tradizionale organizzazione del discorso retorico in cinque parti, corrispondenti ad altrettante capacità richieste all’oratore: inventio (ricerca degli argomenti), dispositio (organizzazione degli argomenti), elocutio (modo di esprimersi), memoria (memorizzazione), actio o pronuntiatio (modo di porgere).

Mentre le prime tre riguardavano la realizzazione di discorsi sia scritti che orali, le ultime due (memoria e actio) attenevano esclusivamente alla oralità.

L’arte declamatoria (actio o pronuntiatio) comprende, assieme alla recitazione e alla modulazione della voce, anche il gesto e il movimento: l’oratore doveva saper parlare e gestire come un vero attore. Del resto, già la retorica antica aveva individuato e dato sistemazione formale alla funzione comunicativa del gesto, della postura, della mimica, della voce: tutti elementi analizzati negli odierni studi antropologici e semiotici, e che rientrano nel fondamentale apprendimento della comunicazione non verbale e paraverbale.

Sia Cicerone che Quintiliano distinguono però l’actio dell’attore da quella dell’oratore: con netta preferenza per la figura professionale di quest’ultimo. L’attore, che soggiace a una condanna morale perché della verità è solo imitatore, mira a un’alterazione pesante della realtà, mentre l’oratore tende a un’imitazione leggera: è imitatore della vita vera. L’oratore infatti non deve imitare gli attori e la loro effeminatezza, ma deve tendere a un’actio virile, appresa dalla palestra o dalla piazza d’armi dei soldati.

Fonti:

G. Manzoni, Il linguaggio del corpo: tra oratore e attore, in Acme, 2/2017, DOI: http://dx.doi.org/10.13130/2282-0035/9359

G. Sposito, Dizionario di retorica. Con elementi di linguistica, fonetica, stilistica e narratologia per l’oratore moderno, INTRA, 2020

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