Il COVID-19 e la potenza retorica (visuale) di una foto

Sì, è italiana, ha fatto il giro del mondo ed è divenuta una delle foto più rappresentative di questo periodo. Ma questa foto è retorica allo sato puro, nel senso giustamente tecnico e positivo che si deve dare al concetto di ‘retorica’.

L’antefatto. Non è una foto in senso stretto, perché è un fermo immagine tratto da un video ripreso da un drone sulla spiaggia di Rimini. Sul piano fotografico, come illustra Lorenzo Spallino in un interessante articolo, la prima regola (detta ‘dei terzi’) afferma che, per ottenere un’immagine ben bilanciata, è necessario che gli elementi importanti dell’inquadratura siano collocati alle intersezioni delle due linee verticali e di quelle verticali distribuiti ai terzi dell’inquadratura. In quest’ottica, il soggetto non è (o non dovrebbe essere) inquadrato al centro dell’immagine, oppure troppo vicino ai margini. Nel nostro caso la foto è perfetta: il soggetto verso cui si dirigono gli agenti fa parte dello sfondo ed è l’agente ritratto con maggiore movimento ad essere collocato all’intersezione tra la prima linea verticale e la prima orizzontale.

Perfetto è anche il rispetto delle linee guida, ossia delle line presenti nell’inquadratura che ‘guidano’ lo sguardo dell’osservatore verso uno o più punti di interesse nell’immagine, in genere posizionato in uno dei punti chiave secondo la regola dei terzi (nel nostro caso il volto stupito del malcapitato):

Anche la regola del contrasto tra soggetto e sfondo (secondo cui tanto maggiore è il contrasto, tanto più sono esaltate la dinamicità dei soggetti e la drammaticità dell’immagine) è ampiamente rispettata: non c’è nulla in grado di distogliere l’attenzione di chi guarda.

Ma una foto scattata quasi per caso da un drone, con l’unico intento di documentare il lavoro della polizia durante il lockdown, riesce in realtà a raccontarci molto di più di quanto vorrebbe: una realtà distopica (nel senso che descrive o rappresenta una realtà immaginaria del futuro), dove qualsiasi spostamento è vietato in nome della prevenzione, dove anche prendere il sole in una calda giornata d’aprile diventa un crimine, dove il confine tra libertà del singolo e sicurezza collettiva è labile.

Tutto ciò anche grazie ai forti simbolismi: l’uso di mezzi modernissimi, la totale copertura del corpo degli agenti con l’uniforme, il movimento quasi meccanico dell’agente di sinistra, il volto del trasgressore che rimane il solo volto umano visibile.

Ogni immagine è interpretazione, ancora di più nel caso di un ‘frame’ preso da un video: il taglio, le regole di composizione, la gamma dei colori sono strumenti, ma è il nostro cervello che li interpreta.

La foto in sé non ha colpe o meriti: ciò che rappresenta è frutto di scelte da parte di chi può essere capace di comprendere (e dunque prevedere) l’interpretazione dell’osservatore finale.

Ecco perché quest’immagine riesce a raccontarci molto di più di quanto vorrebbe. E qui si incardina inevitabilmente una riflessione di natura retorica. Oggi le immagini rappresentano strumenti che spesso schiacciano la parola. E così, ma già da tempo, gli studiosi hanno appunto cominciato ad interrogarsi se le immagini possano allora avere una autonoma capacità di ‘argomentare’, cioè di rappresentare una o più premesse ed una conclusione raggiunta attraverso una argomentazione.

Un’immagine può essere in grado di rapprentare un processo retorico essenziale, in cui qualcosa è necessariamente condensato od omesso. E può dunque arrivare a trasmettere qualcosa che è però anche ‘altro’ rispetto alle sue premesse, perché sono omesse, o sono addirittura altre.

Il rischio è quello della “persuasione per seduzione”: cioè induco chi ascolta o vede ad una determinata riflessione o conclusione, omettendo alcune premesse, senza un corretto percorso argomentativo (dove dovrei invece illustrare da dove parto, dove voglio arrivare e soprattutto come ci arrivo – “persuasione per argomentazione”). Dunque, posso proporre qualcosa che apparirà scontato perché non si sarà in grado di chiedersi quali sono le premesse di quella conclusione.

Del resto, anche un testo verbale può essere ‘ambiguo’, e dunque consentire ‘interpretazioni’ diverse, o trasmettere qualcosa che va ‘oltre’ il dato letterale. Le stesse figure retoriche trasportano chi ascolta o legge ‘altrove’. Ma attenzione: hanno l’obiettivo di farlo solo per favorire un ben più ampio percorso strategico. Fanno parte dell’argomentazione.

Qui, invece, nelle immagini è tutto condensato e pericolosamente esposto all’utilizzo scorretto di chi adopera, appunto, la “retorica visuale”.

Ma di questo continueremo a parlare in ulteriori post (e anche webinar).

Fonti:

Lorenzo Spallino, La foto perfetta non l’ha fatta un umano. Ma sono gli umani a interpretarla, in Medium

Gianluca Sposito, Manuale di retorica forense, Intra, 2020 (capitolo “La retorica visuale”)

Gianluca Sposito, Quanto siamo retorici. Libera l’oratore che è in te, Intra, 2020

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