Poscia? Ma come parli? Veramente sta scritto in una sentenza…
Ebbene sì: giudici (e avvocati) parlano ancora così. Spesso non facendosi capire (a volte neanche tra loro); di certo non facendosi capire da tutti gli altri.
Il problema è che le sentenze sono emanate “nel nome del popolo italiano” e hanno indubbiamente un’incidenza su un pubblico ben più vasto dei soli operatori forensi.
Torniamo sull’argomento della lingua di giudici e avvocati (vedi il nostro precedente post) perché è di questi giorni la pubblicazione di un saggio (appunto: “In nome della lingua italiana. Manuale di scrittura forense”) che la analizza attraverso un percorso che, trattando aberrazioni sintattiche e lessicali, sfiora il comico (sebbene l’autore nell’Introduzione tenga a sottolineare che non c’è da ridere ma da riflettere…).
E così si passa dal segnalare brani in cui si ritrova un solo verbo che regge stoicamente un periodo di ben 86 parole (quando 20/25 rappresentano il limite massimo di un periodo leggibile), ad altri in cui il soggetto è posposto al verbo stesso, ad altri ancora in cui la comprensione è un percorso ad ostacoli per via di eccessive subordinate e scarsa efficacia (o assenza) della punteggiatura.
Ma viene segnalato (ancora in sentenze del 2019 e del 2020!) l’uso di termini ed espressioni, se non proprio ridicole, quanto meno desuete (perché usare ‘benanco’ se si può comodamente dire ‘pure’ o ‘anche’?). E così, passando da ‘eziandio’ (che in questo caso non è una citazione da Totò ma da una sentenza della Cassazione del 2014), si arriva a ‘laonde’ e ad ‘apodittico’, a ‘cotale’ e a ‘patentemente’; per non parlare dell’esotico ‘tampoco’ (nel senso di “tanto meno”, espressione evidentemente troppo banale per essere utilizzata dai giuristi…).
Un bel viaggio, passando anche per Calvino, Calamandrei, Carofiglio, e finendo ad individuare anche possibili soluzioni metodologiche (in particolare, attraverso l’uso della retorica classica e dei suoi precetti).
Spazio a sé viene dedicato ai latinismi, spesso sgangherati; ma parlarne in questa sede significherebbe ‘spoilerare’ il libro, che tutti possono leggere, mentre gli operatori forensi devono.
Speriamo solo che “poscia” si accorgano di come parlano.