Possono le parole essere più forti delle immagini?

Il ricorso al ‘visuale’ oggi è naturale e pratico. Viviamo un’epoca dove le immagini trionfano, schiacciando la comunicazione meramente verbale, in una sorta di assorbimento e prosciugamento delle parole.

Anche nell’antichità gli oratori riconoscevano l’importanza della suggestione delle immagini, realizzandola però con le parole. Per Quintiliano l’oratore doveva adoperarsi perché il suo discorso divenisse una “pittura parlante”: doveva suscitare immagini virtuali nelle menti degli ascoltatori grazie all’abilità retorica. Le parole erano (e sono) capaci di evocare le immagini. Si parlava, in tal caso, di ‘evidentia’, ossia di quella qualità capace di conferire al discorso la massima forza persuasiva: essa consisteva in quell’effetto di visione diretta che scaturiva dal discorso che era capace di raccontare i fatti sotto forma di vivide immagini mentali che si presentavano agli occhi degli ascoltatori con la medesima immediatezza visiva della realtà.

Per questo l’evidentia era qualcosa di più della semplice chiarezza: perché la chiarezza interessava solo la comprensibilità del testo, mentre l’evidenza indicava una sua fruizione sensoriale (dunque aggiuntiva rispetto alla chiarezza stessa), per cui i fatti non venivano semplicemente esposti, ma direttamente mostrati.

Così, attraverso l’evidentia, si raggiungeva il massimo potere persuasivo dell’immagine: era l’immagine (dei fatti) dipinta a parole.

Jacques-Louis David, “Leonida alle Termopili”, Musée du Louvre, Paris

L’immaginazione (in greco ‘fantasia’) è proprio il meccanismo di visualizzazione del verbale. Si tratta appunto di un meccanismo mentale di rappresentazione vivida per cui l’uomo riesce a vedere in presa diretta immagini di fatti e scene cui non sta assistendo di persona, così da avere l’impressione di averle davanti agli occhi. Dal testo/discorso così elaborato scaturisce quella impressione di visione diretta e immediatezza espressiva che la tradizione retorica identifica con la qualità della ‘enargéia’.

Quintiliano

Quintiliano e i suoi predecessori sembrerebbero dunque aver trovato una soluzione che preserva la parola dallo strapotere delle immagini, lasciando inalterata la sua efficacia comunicativa: è la parola che si fa essa stessa immagine. Ma la comunicazione verbale può anche oggi riuscire ad eguagliare il potere persuasivo delle immagini?

Le immagini indubbiamente aiutano a rendere accattivanti i messaggi, a favorirne la comprensione, e risultano particolarmente utili in un’epoca di scarsa attenzione all’ascolto, dove occorre combattere la noia e confrontarsi con impulsi molto diversi da quelli testuali.

Gli argomenti visivi forniscono un messaggio in un modo multimodale, che è poi il modo in cui negli ultimi anni ci siamo abituati a ricevere e ad elaborare oggi le informazioni.

Tuttavia, in alcuni contesti (ad esempio, quello giudiziario), la prevaricazione del ‘visuale’ ai danni del verbale può nascondere molte insidie. Il ragionamento visivo infatti non è solo fallibile, ma si basa anche su un insieme astratto di regole che non seguono i principi razionali della logica. Quando visualizziamo informazioni visive siamo piuttosto suscettibili di esprimere giudizi troppo rapidamente, inconsciamente o sulla base di processi emotivi automatici.

Inoltre, quando vediamo qualcosa di persuasivo, non tendiamo a porre domande sulla logica sottostante: tendiamo semplicemente a credere che ciò che vediamo sia vero e corretto.

Si può dunque anche convenire sulle possibilità del visuale, ma il suo uso dovrà sempre presupporre la valorizzazione e l’utilizzo del pensiero retorico, che può generare un ‘visuale’ argomentativamente fondato, accompagnato dalla parola che si fa essa stessa immagine (secondo l’insegnamento degli antichi retori).

Diversamente, avremo solo uno sterile tripudio di immagini prive di parola, come una bellezza priva di intelletto; e con il rischio concreto di venirne drammaticamente irretiti.

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