Alla ricerca dell’epiteto perfetto

“Concrete risposte alle domande dei cittadini!” – Ecco l’utilizzo pressoché quotidiano che dell’epiteto fa il politico contemporaneo. Ma cos’è un epiteto?

L’epiteto (dal gr. epítheton «aggiunta») è un nome, un aggettivo o una locuzione che si aggiunge a un nome a cui può essere legato da diversi gradi di necessità.

La retorica la individua tecnicamente come figura di accumulazione subordinante. Sono dunque epiteti sia gli aggettivi usati come attributi, sia i sostantivi (o qualsiasi perifrasi nominale) usati come apposizioni di un altro sostantivo.

La natura aggiuntiva dell’epiteto è alla base della distinzione operata da Quintiliano, nella sua Institutio oratoria, rispetto all’antonomasia: mentre quest’ultima può sussistere autonomamente («Colui che ha distrutto Cartagine e Numanzia»), l’epiteto richiede un elemento nominale esplicito («Scipione, colui che ha distrutto Cartagine e Numanzia»).

Si distingue, tuttavia, il valore dell’aggettivo, sulla base di diversi gradi di necessità. Gli aggettivi più “necessari” sono quelli che forniscono informazioni senza le quali il senso della frase sarebbe completamente modificato. I meno necessari sono gli aggettivi detti pleonastici, ovvero “superflui” nel contesto a cui appartengono: è il caso dell’epiteto detto “esornativo”, cioè ornamentale. L’esornativo omerico (Achille “piè veloce”, su tutti).

L’esornativo tende però a diventare uno stereotipo e a dilagare, divenendo anche spesso bersaglio di satira metalinguistica. Si ricordano, a questo proposito, le canzonature dell’enfasi aggettivale fascista che circolavano nelle redazioni dei giornali dell’epoca, sotto forma di comico catechismo (cit. e commentato da Tullio De Mauro, 1979):

  • Com’è il Duce? Magnifico. Invitto e invincibile. Insonne
  • La sua figura? Maschia
  • La sua sagoma? Forgiata nel bronzo
  • Come sono le sue legioni? Quadrate
  • E i fedeli? Della vigilia
  • Come si arriva alle immancabili mete? Nudi
  • Come sono le democrazie? Agnostiche e imbelli

E così l’epiteto, nel suo uso quotidiano ed eccessivo, spesso da parte di soggetti affetti da pigrizia, povertà inventiva e sudditanza acritica a un esercizio massificato del linguaggio, ha finito per corrodere aggettivi che non hanno all’origine colpa alcuna.

Si pensi a quanto Lucentini ha messo favolosamente in evidenza relativamente all’aggettivo “concreto”:

Sarà anche stato ai suoi tempi un aggettivo coi piedi per terra, serio, rispettabile. Ma è molto cambiato, negli ultimi anni. Il meno che si possa dire di lui è che si lascia usare con troppa facilità da gente equivoca, presta il proprio suono grigio e fidato a nomi di notoria labilità e frivolezza (…): concrete iniziative, concreti interventi, concreti sviluppi, concrete proposte, concrete aperture, concreti impegni, concreti sbocchi… La sua presenza accanto a qualsiasi sostantivo è ormai segnale infallibile di vacuità, dilazione, inconcludenza. È garanzia di totale astrattezza.

Che peccato.

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