“Il sorpasso” e l’antitesi

Esattamente 60 anni fa, il 5 dicembre 1962, usciva nei cinema “Il sorpasso” di Dino Risi.

Il giorno di Ferragosto due occasionali amici, uno studente universitario un po’ timido e un quarantenne immaturo, passano assieme la giornata spostandosi con l’auto (e che auto: una Lancia Aurelia B24).

Un cult del cinema, non solo italiano, un atipico road movie tra le strade del centro Italia dei primi anni ’60 che si sviluppa tra uno sfondo di malinconia e una verve dai ritmi forsennati. Un film straordinario dovuto anzitutto alla straordinarietà della sceneggiatura, della regia e degli interpreti – basti pensare al cialtronesco Gassman che distrugge con la naturalezza del superficiale i luoghi comuni che lo studente Trintignant si era costruito in un’intera vita.

Un film che è una lunga e meravigliosa metafora, fatta di tante altre metafore, iperbole, e soprattutto antitesi, solo per citare le figure retoriche che gridano la loro presenza. Un continuo sorpasso tra sogni e illusioni, e la realtà, con una perfetta esaltazione delle contraddizioni.

E del finale, vogliamo parlare? Dobbiamo, perché “Il sorpasso” ha un finale in climax ascendente (altra figura retorica), e spiazzante. Senza spoilerare (magari c’è ancora qualcuno che non ha visto il film), ricordo solo che il produttore Cecchi Gori propose al regista un finale alternativo, più canonico. Fortunatamente, la pioggia che caratterizzò gli ultimi giorni di ripresa smise di cadere (Cecchi Gori minacciò di non pagare altri giorni di attesa), consentendo ad un imperterrito Risi di girare quella scena esattamente come l’aveva voluta.

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“A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta… si capisce.”

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