L’uso della negazione, spesso in combutta con un verbo con negazione implicita, può portare a qualche riflessione in più per la sua comprensione. Ma può anche avere un ruolo nella costruzione retorica di un pensiero.
Prendiamo due frasi d’esempio:
1) Ho voglia di venire
2) Non è che io non abbia voglia di venire
Secondo la logica classica, le due negazioni portano all’affermazione (duplex negatio affirmat). Ma le due frasi non sono affatto identiche nel significato: la seconda esprime qualcosa di indubbiamente ulteriore rispetto al dichiarato lineare della prima. Questo perché, nel secondo caso, la costruzione con doppia negazione ha un valore retorico: aggiunge al letterale una particolare pregnanza di significato.
Ad esempio, in un ambito puramente letterario l’espressione “Non sono sfavorevole” non significa esattamente “Sono favorevole”, ma contiene una sfumatura ulteriore perché venga intesa come “Non mi oppongo”. È una sfumatura di natura retorica, che porta volutamente il lettore o l’ascoltatore a percepire qualcosa che il testo letterale non dice, invitando dunque ad andare oltre.
Il discorso cambia, tuttavia, se l’uso della doppia negazione non ha alcun valore retorico ed appare piuttosto un inutile appesantimento dell’espressione a scapito della sua immediata comprensione. È il caso del linguaggio giuridico, dove la scelta della doppia negazione – già di per sé per la sua enorme frequenza – appare spesso più una vezzosa consuetudine che il meditato soddisfacimento di specifiche esigenze di comunicazione retorica (si pensi ad espressioni del tipo “non si può non ammettere che”, “non esente da”, “non è vietato”, tutte sostituibili con piane espressioni affermative).
Insomma, “non è inopportuna” una sana e frequente riflessione su come usare avverbi e verbi con contenuti negativi.