Parlare in pubblico: perché in Italia lo facciamo così male?

Italians do it better“: certo, molte cose forse le facciamo meglio di altri. Ma di certo non parlare in pubblico. Eppure, proprio nella nostra Magna Grecia, 2.500 anni fa, nasceva l’arte del saper parlare. Che si è perduta negli anni a venire…

Nel nostro paese la capacità di parlare in pubblico è modesta. Oscilliamo tra sproloquio e afasia, tra aggressività e narcosi, tra esibizionismo narcisistico (appartiene a molti) e sottomessa ritrosia (sì, qualche caso c’è). Non arriviamo mai al punto e, se ci arriviamo, nessuno riesce ad accorgersene.

Siamo il paese che ha inventato la retorica, intesa come arte del discorrere in pubblico argomentando le proprie opinioni tanto da persuadere chi ascolta. La capacità di parlare bene in pubblico dovrebbe essere inscritta, se non nel nostro DNA, almeno nella nostra cultura. Eppure, sembra che se ne siano perse le tracce.

Negli Stati Uniti, invece, qualsiasi persona di decente formazione è mediamente capace di fare un discorso breve, sensato, interessante e, se la situazione lo permette, anche divertente in un’aula, in una sala riunioni, a un pranzo, a un matrimonio, a un funerale o davanti ad una telecamera.

Altrove tira dunque un’aria diversa. Ad esempio, ha conquistato milioni di visualizzazioni in rete ed è stato ripreso anche da molti quotidiani italiani il discorso sull’importanza dell’istruzione tenuto da Donovan Livingston, studente afroamericano ad Harvard (laureato in storia, due master, alla Columbia University e ad Harvard). Il discorso di Livingston è apprezzabile sia per i contenuti sia per la forma espressiva (poetica, musicale ed evocativa) sia per l’energia personale dell’oratore, che tiene assieme forma e contenuti e li esalta. Secondo molti, è il discorso giusto, tenuto conto del contesto e dell’uditorio.

Un interessante articolo pone l’attenzione proprio su questa incomprensibile perdita delle nostre origini e capacità. Che – sia ben chiaro – possono però essere recuperate. Ma – aggiungiamo noi di Retorica-mente – solo attraverso lo studio e l’applicazione.

Del resto, un buon discorso in pubblico funziona quando appare naturale, autentico e per certi versi improvvisato. Ma l’improvvisazione è pura apparenza: per ottenere un risultato è necessario prepararsi bene. La stessa cosa accade per la scrittura: il massimo della sensazione di naturalezza per il lettore nasce dal massimo di elaborazione del testo (dunque, per certi versi: dal massimo di artificio).

Prendiamo finalmente le distanze dall’invito a ricorrere a qualcuno degli stucchevoli “trucchi infallibili” che vengono ripetutamente citati negli articoli divulgativi sul tema, e reiterati promozionalmente anche sul web: ad esempio, raccontare storie o esordire con una battuta di spirito, o mantenere a ogni costo il contatto visivo con la platea. O consigli ancora più stravaganti: “prima cammina avanti e indietro sul palco, poi prendi un bel respiro, poi comincia a parlare”. Ma perché mai? Se lo chiede Annamaria Testa in un interessante articolo, che condividiamo concettualmente e fisicamente qui sul nostro blog:

Annamaria Testa, “Parlare in pubblico: perché in Italia lo facciamo così male?” (Nuovo e Utile) – Leggi l’articolo

 

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